Erano anni confusi e ricchi di avvenimenti. La vita era qualcosa che accadeva, mentre le stavo dietro per quanto potevo. Facevo il metalmeccanico: Sardegna, Trentino, Toscana, Francia. Ero un pesce fuor d’acqua: non mi piaceva il lavoro, i colleghi, non so che, ero distante. Mi piacevano le sfide fisiche, 3000 gradini in un giorno, la velocità, la resistenza, le sfide con me stesso. Amavo giocare a calcetto dove il mio quadricipite produceva un tiro di rara violenza, mi piaceva la bici, quegli 80 km fatti di salite e discese e quei polpacci erano pistoni; il mare ed il cielo: tutto era blu e lo erano anche i miei pensieri per poi diventare bianchi nel momento di massimo sforzo. Pensieri fatti di luce e di suoni; nel cuore di un impianto, sono martellanti, nevrotici, assillanti. Eppur mi piacevano, erano ben miscelati; anche se quel giorno una cosa era strana: non mi sentivo i piedi e – accidenti - nemmeno le mani, poi le gambe, il tronco fino ai pettorali, le braccia e le mani. Non riesco a lavorare, chiedo scusa al mio capo squadra, mi chiedo se mi creda, non lo so, ma che ho? Non so dove mi visitano, elettromiografia, domande, rispondo, dice: “facciamo il test HIV”. “Ma cosa dice e che c’entra?” dico io “Grazie lo stesso”. Passa il tempo, passa il formicolio e dico: “Mamma, a me sembra di zoppicare”. “No no, è una tua impressione”. Non ci fai caso e piano piano altri medici ortopedici, oculisti, chi mi opera per un’ernia inguinale, chi per non so. Io zoppico, vedo male, non mi si alza il braccio destro e dicono che io sto bene. Inizio a credere nelle cospirazioni: sarò un umano da studiare, testare, fanno finta, zoppico e cammino bene, ci vedo sfuocato e ci vedo bene, ora faccio il professore, ora faccio il barman, ora mi chiedo dove va il mio corpo, nessuno mi crede. Pago una RM alla cervicale, penso: “avrò un ernia, sarà quella che mi blocca il braccio”. Ritiro il referto in una stanza, nessuno mi spiega, nessuno sa, vado a casa, cerco parola per parola fino a quando ne trovo una difficile: demielinizzante, sclerosi multipla. Ghiaccio, paura, è successo a me, piango, mi alzo, mi aggrappo all’accappatoio, piango, ho i singhiozzi, mi calmo, avviso la mia ragazza e mi dice di stare calmo che non è nulla. Ero solo. Il giorno dopo, sono accolto, visitato, sono predisposte analisi e si evince che tutto era iniziato 10 anni prima da quel formicolio, 10 anni dove non sono stato creduto: “Ma ti lamenti sempre”, “Ormai ti senti arrivato”, “Perché non giochi bene?”, “Perché non cammini ?” Ed io ad inventare scuse e penso: “È finita, ora mi crederanno, ora sei un peso più di prima”. La notizia, prima, ho fatto finta di nulla quasi non mi appartenesse e, non curandomene, mi ha portato giù tra le peggiori depressioni, dove ho perso 2 lavori, dove ho perso soldi, dove ho perso la ragazza, dove ho perso la speranza, dove ho perso la prospettiva, dove ho perso il motivo, dove se poco mi ero trovato nella vita che lì mi aveva condotto, lì ero io ad essermi definitivamente perso. Ho odiato, combattuto, maledetto la SM per tutte le difficoltà che a lei imputavo. Dopo aver fatto un protocollo teso a migliorare l’aspetto motorio, dopo esser stato per 2 mesi a Roma al S.Lucia, dopo essermi comportato nel modo più salutare possibile, dopo aver cavalcato qualsiasi cosa mi potesse far vincere almeno una battaglia ero piuttosto demotivato in un contesto di lotta contro la malattia. Nella lotta mi ero perso un piccolo dettaglio, ovvero, ci si fa male. Stanco, smetto di lottare. Per paradosso colei la quale s’era vestita dalla mia più grande sfortuna mi regala quello che da sempre intuivo, ma non ero capace di cogliere: me stesso. Non più odiando, finalmente ringraziando e amando ogni dono, ho sentito che sto iniziando a camminare su una strada che a me piace. Oggi, come ieri, la mia vita è fatta di sfide, è fatta di provarci, è fatta di essere consapevole a me stesso, presente a me stesso, è fatta di non esser in balia della mia tristezza, rabbia. Cerco di non vivere nel giudizio in particolar modo verso me stesso, cerco di consentire ad ogni persona, avvenimento che non potrebbe essere diverso da quello che è, dall’aspettativa nei confronti di questo o quello. Cerco di non pensare più: “Questo non posso farlo”. “Lì non vado, non sono in grado”. Vivo serenamente il da farsi. Faccio cose per me impensabili prima, lavoro costantemente su me stesso con l’obbiettivo di guarire, migliorarmi e in particolar modo avvicinarmi, guardarmi non più dall’interno verso l’esterno, ma dall’esterno verso l’interno, cambiare abitudini, andare ovunque, dire finalmente sì alla vita. E, se guardo chi ero, cosa ho fatto, cosa mi è successo, ne sono felice perché tutti quei pezzi di vita mi hanno consentito di essere me oggi, lontano dal bene e dal male, dal giusto e dallo sbagliato, dai “se fosse stato”, dalle recriminazioni, entrando nel dolore anziché accantonarlo, trasmutando il dolore più grande in una gioia fatta anche di comprensione. Desideroso di vivere, non per accontentarmi, vivo in pienezza, osservo il qui ed ora, cerco l’Uno e la dualità che è la faccia della stessa medaglia, cerco l’Amore che tutto guarisce. Sono qui ora, nella vita che ho sempre sognato e sono felice. Dal concetto di disabile siamo passati al concetto di disabilità che è vista come un’interazione tra la condizione personale di un individuo (come il mio caso) e fattori ambientali (come gli atteggiamenti negativi o gli edifici inaccessibili ) Questa interazione porta alla disabilità appunto, e influenza la piena partecipazione dell’individuo nella società civile. In questo contesto di far con e non contro, in unione e non separazione, io e la mia amata S.M. - amata perché lei è in me, è me e se la odiassi odierei me ed ho smesso da un po’ - quest’anno abbiamo vinto il concorso scuola. Con molte difficoltà, ad esempio, sono andato per ben tre volte da Cagliari a Rieti per sostenere gli esami, difficoltà che han reso più magico il risultato:a breve entrerò in ruolo. Ho vissuto il più bell’anno a scuola, ricco di difficoltà, tutte superate, ripagato da una professionalità che pensavo persa. Nei giorni liberi ho partecipato ai gruppi di psico educazione e, come co-docente, al progetto Quality Rights sulla promozione dei diritti umani rivolto agli studenti della facoltà di medicina. Nelle recenti elezioni comunali ho voluto dare il mio contributo, e grazie a chi mi ha dato fiducia, sono stato eletto. Qualcuno la chiama resilienza, a me piace chiamarla “Sì”,“sì alla vita”. Poco tempo fa, ho letto della GIORNATA MONDIALE DELLA SCLEROSI MULTIPLA. L’impegno nella lotta alla sclerosi multipla. “Lotta”: che parola forte. Personalmente ho deciso di amarla. Lei è sempre stata con me nei momenti difficili, quando son caduto e quando mi sono rialzato. Non ha mai pensato di lasciarmi solo. Ti amo cosi tanto che ti concedo finalmente il riposo: hai lavorato tanto, è giusto ti faccia da parte, sarai stanca. Mi arrendo, se lotto, rinnovo la tua forza. “Ti amo”: questa è la mia resa. La resa non è, come spesso si crede, un non fare, non è uno stato passivo ma, al contrario, è la capacità di fare insieme alla vita, di fare da uno stato di unità e non di separazione, di fare da un sì invece che da un no. È fare essendo totalmente presenti. Non più tuo. Alessandro